Solitamente ci appelliamo alla proprietà intellettuale per paura che qualcuno si appropri indebitamente dei frutti del nostro ingegno – e, soprattutto, che ne tragga vantaggio a discapito nostro.
All’interno della proprietà intellettuale rientra anche il diritto d’autore, istituto giuridico che protegge le espressioni artistiche e che viene spesso confuso con il copyright.
«Spesso i due termini sono utilizzati come sinonimi ed anche noi qui utilizziamo il termine copyright per riferirci al diritto d’autore. In realtà il termine “copyright” dovrebbe essere indicato con riferimento alla legge statunitense che regolamenta, come dice il termine, il diritto di copia su un’opera. La legge americana si basa su principi diversi da quelli della nostra Legge sul diritto d’autore ed è improntata più verso i diritti economici che verso i diritti morali d’autore. Anche la legge americana come quella italiana prevede che non è necessario alcun deposito per ottenere la protezione di un’opera.»
– Avv. Chiara Morbidi, responsabile del settore legale di UfficioBrevetti.it
Nel caso della letteratura, essendo un testo estetico una particolare espressione del lavoro intellettuale di una persona, questa acquisisce automaticamente lo status di autore – che ne diventa titolare dei diritti.
All’autore, e solo a lui, è garantito il diritto di pubblicare la sua opera, di utilizzarla economicamente in ogni forma e in ogni modo, di riprodurla, diffonderla, distribuirla, metterla in circolazione, pubblicarla in raccolte, modificarla, noleggiarla e concederla in prestito – a meno che l’autore, pur mantenendo il diritto alla paternità, non abbia venduto ad altri il diritto economico sull’opera (solitamente a una casa editrice).
Attenzione, però: quando parliamo di opere intellettuali, come nel caso di un testo estetico, parliamo di opere non conflittuali (a differenza della proprietà fisica), perché se si fa una copia di un’opera, l’uso della copia non ostacola l’utilizzo dell’originale. Questo non me lo sono inventato io, ma è stato messo in evidenza da Mark Helprin in un articolo apparso nel 2007 sul «The New York Times», intitolato A Great Idea Lives Forever. Shouldn’t Its Copyright?.
Inoltre, siamo sicuri che la proprietà intellettuale e le restrizioni del diritto d’autore non possano addirittura danneggiare la creatività, la collaborazione creativa e la distribuzione semplice delle proprie creazioni?
È da queste riflessioni che è nata l’espressione copyleft, tradotta in italiano come permesso d’autore: un modello alternativo di gestione dei diritti d’autore con cui chi detiene i diritti, grazie all’applicazione di specifiche licenze, concede una serie di libertà agli utenti dell’opera. Nella sua versione originaria, il copyleft obbliga i fruitori dell’opera, nel caso vogliano distribuire l’opera modificata, a farlo sotto lo stesso regime giuridico e sotto lo stesso tipo di licenza.
Per farla semplice, il copyleft non mira ad abolire del tutto il copyright/diritto d’autore, ma lo usa come mezzo per sovvertire le restrizioni che tradizionalmente impone allo sviluppo e alla diffusione della conoscenza.
Per farla ancora più semplice: il copyleft è una sottocategoria del copyright che lascia liberi tutti coloro che non sono autori del testo estetico di poter usufruire dell’opera – ad alcune condizioni.
In Italia, i maggiori sostenitori in ambito letterario del copyleft sono il collettivo Wu Ming. Per una spiegazione a prova di bambino del concetto di copyleft, vi rimando a questo articolo di Wu Ming 1.