Lavoro come freelance di provincia da tanti anni. Anni in cui i weekend si sono trasformati in un’estensione delle ore di lavoro, un angolo dove il tempo libero si piega e si adatta alle scadenze, agli imprevisti, a quella lista infinita di cose da fare che sembra non sfoltirsi mai. Non è una medaglia da appuntarmi al petto, né un motivo di biasimo. È solo che funziona così – almeno per me.
Ormai quando faccio le valigie per un weekend fuori, il MacBook entra nello zaino senza nemmeno chiedere permesso. Non perché io sia un eroe, di quelli che non dormono mai – o un fanatico del lavoro. Al contrario, il mio motto è sempre stato “Stachanov è morto lo stesso”.
Non mi aggrappo al mito della produttività a ogni costo, insomma. È che, da freelance, la linea tra lavoro e vita privata è diventata così sottile da confondersi con l’aria stessa che respiro.
Non c’è gloria in tutto questo, né una morale da trovare tra le righe. Solo una verità che porto addosso come una seconda pelle: non sono un supereroe, non sono uno stacanovista. Sono un freelance.
È la mia vita, la mia scelta, con tutte le sue contraddizioni.