Ci ho messo tantissimo tempo ad accettarlo, ma è così: quello che scrivi alla fine ti racconta. In tutti gli ambiti: letteratura, cinema, pubblicità. Ogni volta che butti giù qualche parola su un foglio o sullo schermo di un laptop, stai riversando te stessə in quelle parole – anche se non lo sai, anche se lo neghi, anche se non vuoi.
Anche se stai inventando di sana pianta mondi alternativi, scenari impossibili o alternative plausibili, tutto parte dal tuo vissuto, che è la somma delle tue esperienze.
Ognuno di noi vive nella sua contemporaneità e fagocita tutto quello che gli accade attorno: fatti, discorsi, situazioni, idee, progetti, polemiche, ingiustizie, sentimenti, eroismi, pornografia, caffè, aperitivi, abbordaggi improbabili, mattine, albe, tramonti, medicine, psicopatologie, traumi, aborti, figli, mogli, famiglie, amanti – tutto. Ed è da questo magazzino di informazioni che le esperienze sguisciano fuori per intrufolarsi nelle parole che stai per scrivere.
Non dico che tutto quello che scrivi è autobiografico, e non sto dicendo neanche di scrivere solo di quel che sai – e sarebbe sciocco e sarebbe inutile.
«”Scrivi di quel che sai” è il consiglio più stupido che abbia mai sentito. Incoraggia le persone a scrivere ottuse autobiografie. È il contrario dell’accendere l’immaginazione e il potenziale degli scrittori.» – Kazuo Ishiguro
L’immaginazione poggia le sue basi sulle tue esperienze, sui tuoi bisogni e sui tuoi desideri, ed è come trasformi questa immaginazione, questa visione, in parole che ti caratterizza.
Le parole nascono dall’esperienza, così come l’immaginazione nasce dall’esperienza, e poiché ognuno di noi è la somma di più esperienze, allora quello che scrivi alla fine ti racconta davvero. È inutile negarlo, rischi solo di perderti in un mare di parole e alla fine ti ritrovi incartato nelle stesse pagine della tua vita.
«Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto.» – Italo Calvino