Febbraio è il mio mese preferito. Mi piace quel suo essere così fintamente low profile e un po’ paraculo.
Non è gennaio, con la sua retorica da primo della classe, le liste dei buoni propositi, le palestre piene di gente che già a metà mese molla il colpo. Non è dicembre, con la sua overdose di luci e zucchero, il finto buonismo, i bilanci esistenziali sotto l’albero.
Non è uno di quei mesi che si perdono nella folla, come maggio, giugno, luglio. Gente che sgomita per farsi vedere. Troppo sole, troppi eventi, troppa voglia di essere qualcosa. Febbraio non ci casca. Sta lì, con i suoi ventotto giorni scarsi – ventinove, quando gli gira – e non sente il bisogno di dimostrare niente a nessuno.
Febbraio è un mese anarchico, a suo modo. Fa come gli pare da sempre. Si mette a capo della parata di carnevale come niente fosse e fa il voyeur in camporella a San Valentino – senza mai aspettarsi nulla: non un giorno rosso extra, non un ponte, non un attimo di sosta.
Non si sforza di piacere a tutti. Non sgomita per essere ricordato. Sta lì, immobile, con la sua risata da bastardo mentre il mondo si arrabatta tra la routine invernale e la promessa di una primavera che ancora non arriva. È un mese bastardo, a suo modo: ti lascia addosso il freddo dell’inverno e poi, quando inizi a pensare che durerà per sempre, ti molla il primo sole che sa già di primavera. Ti fa credere che qualcosa stia per cambiare, anche se non è detto che succeda davvero.
Febbraio non vuole applausi. Non vuole riconoscimenti. È un mese che arriva, fa il suo lavoro e se ne va. Senza clamore. Senza chiedere il permesso. È il mese di chi non si affanna per essere speciale, ma lo è comunque.
È un mese così, bastian contrario e reattante come me – e forse anche un po’ tranchant.
Forse è per questo che febbraio è il mio mese preferito.