Ampiezza versus brevità

Ebbene sì, lo confesso: prima d’ora non avevo mai letto Il vecchio e il mare di Hernest Hemingway.

Però in passato ho letto Moby Dick di Herman Melville.

E, quindi, adesso posso dire, abbastanza tranquillamente, che Il vecchio e il mare è il bignami di Moby Dick.

In entrambi, un uomo lotta contro un enorme pesce in mare aperto e, alla fine della lotta, rimane con un pugno di mosche in mano.

La differenza fondamentale, tra le due storie, sta nelle dimensioni:

  • Moby Dick: quasi 600 pagine, il pesce è una balena, il suo cacciatore è un capitano, la barca è una baleniera, il cacciatore muore;
  • Il vecchio e il mare: meno di 100 pagine, il pesce è un marlin, il suo cacciatore è un vecchio e povero pescatore, la barca è una barchetta da pesca, il pescatore non muore (ma non riesce a riportare il pesce a riva).

Melville ti racconta il mare ed Hemingway te lo mette dentro un bicchiere, per intenderci.

Ne Il vecchio e il mare, e qui sta la sua forza, tutto è ridimensionato: la storia è ridotta all’osso, i personaggi si riducono a due (più il pesce), lo stile è puntuale, essenziale, quasi scarno, scattante. C’è tutto, in poche pagine e in poche parole.

Tutto l’esatto opposto di Moby Dick.

Si tratta di due capolavori della letteratura statunitense, scritti a un secolo di distanza l’uno dall’altro (Moby Dick nel 1851 e Il vecchio e il mare nel 1951) che incarnano due mo(n)di opposti di fare letteratura: ampiezza versus brevità.

Sì, perché si può narrare una storia soffermandosi a raccontare la vita dei tanti personaggi che incontriamo nel corso della narrazione, a descrivere minuziosamente gesti e ambientazioni, a creare intrecci e sottotrame per aumentare l’immedesimazione del lettore (Moby Dick) – e, similmente, si può raccontare la stessa storia soffermandosi su pochi particolari e preferendo che il lettore si tenga a distanza e osservi la storia con tutta l’attenzione possibile (Il vecchio e il mare).

Non c’è un mo(n)do migliore dell’altro. La differenza sta nello scopo del libro e nella suggestione che l’autore vuole lasciare nel lettore una volta arrivato all’ultima pagina.

That’s it.

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